Felice Varini
Il presente testo riporta la conferenza tenuta da M. Disch all'Accademia
di architettura di Mendrisio il 27 novembre 1999, in occasione della
presentazione al pubblico del volume monografico dedicato a Felice Varini,
edito dallo Studio Dabbeni.
Nancy, Ecole Nationale dArchitecture, 1996 + Nancy (dettaglio)
Lesperienza di un lavoro di Felice Varini si svolge attraverso
una successione variata di situazioni percettive diverse. Entrando nello
spazio in cui Varini interviene scopriamo dapprima un curioso paesaggio
di segni lineari monocromi: una strana e disordinata dispersione di
marcature o tracciati improvvisamente interrotti. In altre parole, ci
troviamo nel bel mezzo di una delirante profusione di segni di colore.
Nancy intero + Nancy frammentato
Muovendoci nello spazio, ecco pero che, prima o poi, la scomposta moltitudine
di frammenti si compone, come per miracolo, in un'immagine familiare:
in una figura geometrica semplice un cerchio, un trapezio, un
quadrato, un'ellisse oppure in un disegno irregolare, ad esempio
un tracciato a zigzag.
Appena abbandoniamo la posizione che ci ha rivelato un soggetto percettivamente
logico, ci troviamo di nuovo a confronto con un materiale ottico sconnesso,
con un'immagine fuori fuoco, con una pluralità insensata di frammenti.
Lesperienza del lavoro di Varini, dunque, non é circoscritta
a un momento fruitivo unico a un momento contemplativo prestabilito
nel tempo e nello spazio ma è costituita dalla sperimentazione
di molteplici punti di vista, tra di loro contradditori. La visione
della figura intera è soltanto una delle numerose inquadrature
possibili della materia colorata sparsa nello spazio. La pluralit à
degli istanti percettivi che si riflettono nel nostro sguardo mentre
ci muoviamo non convergono in una sintesi ultima, ma restano una successione
arbitraria e relativa di impressioni ottiche; un'esperienza discontinua
di contatti visivi con la pelle dell'architettura, con l'aderenza incongrua
dei segni di pittura all'epidermide dell'ambiente in cui noi stessi
ci troviamo.
Ma cos'è allora un lavoro di Varini è un rebus
ambientato nello spazio tridimensionale? Un labirintico gioco fra tracce
indeterminate e una soluzione determinata? E l'inscrizione di una figura
geometrica nello spazio oppure il rovesciamento dello spazio dentro
la figura? Ma qual è il dentro e quale il fuori?
Oppure il lavoro nasce dalla nostra esperienza di spettatori? Ma allora
chi è lautore? Dovè finito lartista?
E se la configurazione geometrica esiste soltanto nel nostro sguardo
che la coglie da una precisa posizione, qual è la consistenza
materiale del lavoro? Se non cè un oggetto da toccare è
questione allora di un concetto da immaginare? Si tratta di unopera
darte concettuale? Ma come si concilierebbe questo con la forte
sollecitazione ottica e con il fatto che lopera vive della sua
diretta visibilità e della sua seducente presenza hic et nunc?
E poi cè il lavoro manuale, che ricalca dapprima a matita
il contorno del disegno geometrico proiettato sulle pareti mediante
una lavagna luminosa, per riprenderlo poi con il pennello impregnato
di pittura acrilica.
E dove sta limportanza della pittura se lesperienza del
lavoro è descrivibile piuttosto ricorrendo al linguaggio foto-cinematografico
(messa a fuoco, inquadratura, piani scaglionati) che al campo semantico
della pratica pittorica?
E ancora: alla fine di unesposizione il lavoro viene cancellato,
le pareti vengono ridipinte e del lavoro non resta alcuna traccia autentica.
Dove inizia e dove finisce allora lopera?
Insomma, un lavoro di Felice Varini cosa è, dove è, quando
accade? Che cosa definisce lessenza oltre che lesistenza
di una sua opera?
Le risposte a questi quesiti ci portano a considerare alcune tematiche
fondamentali nellarte degli ultimi 40 anni e ci invitano a riflettere
sui principali mutamenti che distinguono lapproccio a un determinato
tipo di opera darte contemporanea.`
Consentitemi di richiamare brevemente alcuni antefatti o meglio alcuni
fatti attinenti agli sviluppi artistici recenti, in particolare alla
problematica che mi preme qui porre in luce.
R. MORRIS, Senza titolo, 1965 + MORRIS, esp. pers. Green Gallery,
New York 1964
Nelle cosiddette sculture minimaliste dei solidi di cospicue dimensioni,
in forme geometriche il più possibile semplici e in materiali
vari traggono senso dalla loro collocazione nello spazio di un ambiente
espositivo, quindi dal rapporto che lo spettatore instaura con essi.
Vivono a diretto contatto con lambiente in cui sono installati:
appoggiati direttamente al suolo, giustapposti in configurazioni iterative
o sparsi nello spazio, non sono più racchiusi entro una determinata
cornice spaziale, costituzionalmente separata dallo spazio del fruitore,
ma esistono nel luogo reale in cui anchegli si muove. Il corpo
dello spettatore e il corpo dellopera sono soggetti alle medesime
coordinate di riferimento (profondità, larghezza, altezza dello
spazio tridimensionale). La percezione dellopera è una
presa di coscienza del proprio trovarsi in uno spazio in quanto ente
materiale, peso, volume, corpo grave.
Lopera, dunque, si manifesta attraverso la sua presenza situata.
Il suo manifestarsi è intimamente connesso ai movimenti dello
spettatore che si confronta con essa da diversi punti di vista, spostandosi
nellarchitettura, misurando distanze e posizioni, sperimentando
empiricamente orientamenti, vettori direzionali e rapporti di grandezza.
Prima e dopo la loro esposizione, queste opere sono dei banali oggetti:
dei semplici fatti materiali, accompagnati da un pezzo di carta con
uno schema inerente alla loro installazione e una descrizione dei dati
tecnici.
G. ANSELMO, Particolari, 1974 + ANSELMO, dettaglio, 1975
Nelle installazioni dellopera intitolata "Particolare",
avviate nei primi anni 70, Giovanni Anselmo colloca nellambiente
espositivo una serie di proiettori per diapositive che proiettano la
parola "particolare". Ogni corpo che viene a trovarsi nel
fuoco del proiettore diventa schermo su cui si inscrive laggettivo
e sostantivo "particolare". I punti così posti in luce
possono essere dei dettagli dellambiente architettonico (un frammento
del pavimento, di una parete, di un oggetto qualsiasi presente nello
spazio) oppure una parte del corpo dello spettatore che si muove tra
i proiettori. Ogni punto segnato è rivelato per quello che è:
un particolare di ununità maggiore, che a sua volta è
situata in un ambiente contenuto in uno spazio che la deborda.
Lopera coinvolge in modo letterale lo spazio reale in cui ha luogo,
e lo spettatore diviene letteralmente parte integrante del suo accadere:
lambiente e lo spettatore sono la conditio sine qua non dellavere
luogo dellopera. Il lavoro è qui per definizione un lavoro
"in situazione", dal momento che lambiente espositivo
e la fruizione del lavoro esposto ne sono il supporto propriamente detto.
A ogni nuova presentazione dellopera, i particolari focalizzati
dal proiettore saranno degli altri: quelli che nella specificità
di quella situazione espositiva verranno a trovarsi entro il fascio
di luce del proiettore. Lopera resta la stessa, ma la sua visibilità
è di volta in volta diversa, condizionata dallo spazio in cui
si rende manifesta. La consistenza del lavoro è il suo accadere
qui e ora attraverso il contatto con il supporto espositivo: il suo
es-porsi, ossia il suo farsi visibile, è qui lessenza stessa
dellopera. D. BUREN, Within and Beyond the Frame, 1973
Dagli ultimi anni 60 Daniel Buren affronta lo spazio espositivo
instaurando un dialogo con i connotati distintivi del luogo, con gli
attributi propri dellambiente di intervento.
Il lavoro realizzato nel 1973, intitolato "Dentro e oltre la cornice",
è composto da 19 elementi tessili sospesi a un cavo teso tra
lo spazio della galleria newyorchese di John Weber e ledificio
situato di fronte, sul lato opposto della strada. 9 pezzi di stoffa
a strisce bianche e nere si trovano allinterno della galleria,
9 allesterno e uno a cavallo tra i due ambienti, nel vano della
finestra rimossa durante lesposizione. In conformità alluso
del tessuto a strisce da parte dellartista, le due bande bianche
più esterne sono ricoperte recto-verso di pittura acrilica bianca.
Visibilmente, lopera funziona dal momento in cui è situata
in una data cornice che ne condiziona la fruizione: mentre allinterno
della galleria i pezzi di stoffa regolarmente sospesi davanti alla parete
assumono lo statuto di opere darte (interpretabili in merito alla
serialità, allespressività formale, allapplicazione
della pittura bianca, in altre parole in termini di presenze pittoriche),
allesterno della galleria, per contro, i medesimi tessuti sospesi,
esposti al vento e alle intemperie, assumono limmagine di bandiere,
di striscione, di effimeri oggetti duso. Il lavoro attinge il
proprio senso e la propria forma dallambiente stesso in cui è
esposto; lesperienza del lavoro è unesperienza dellimplicita
relazione tra lopera e la cornice che la accoglie, tra la complicità
dellopera e il suo contesto espositivo.
D. BUREN, Ritagliare, 1976
Il lavoro realizzato nel 1976 alla Galleria Salvatore Ala a Milano,
intitolato Ritagliare, consiste nellapplicazione di carta adesiva
a strisce bianche e verdi in tutti i punti discontinui del volume spaziale:
negli intradossi delle porte e delle finestre, sugli elementi in aggetto,
ecc.
Lintervento dialoga con lo spazio rilevandone gli "incidenti"
che ne interrompono la continuità. Lesperienza del lavoro
si svolge come osservazione critica dellarchitettura che lo spettatore
attraversa, diventa focalizzazione dei requisiti che condizionano la
relazione tra lopera e il sito. La relazione che il lavoro instaura
con il suo luogo deputato si articola in forma di interrogazione o indagine
dellambito in cui unopera darte è supposta
manifestarsi. Il contenitore (alloccasione la galleria darte)
è il soggetto critico del contenuto; la cornice architettonica,
istituzionale, espositiva diventa essa stessa loggetto dellesposizione.
M. VERJUX, Poursuite croisée, fragmentée sur quatre
plans, 1990 + VERJUX, Découpe suite ascendante en V (du sol à
la verrière), 1994
Con un balzo in avanti nel tempo ci avviciniamo di nuovo a Varini, perlomeno
in termini generazionali. La proposizione di Michel Verjux, artista
francese coetaneo di Varini, consiste nella proiezione di fasci luminosi
nello spazio mediante proiettori di teatro. In base alla collocazione
dei riflettori e della situazione data, il cerchio di luce investe per
intero una parete, una porzione di pavimento o di soffitto, oppure è
interrotto dalle discontinuità dellarchitettura.
La proiezione non dà a vedere nulla. Mette semplicemente a fuoco
un luogo di contatto. Laddove il fascio di luce illumina la parete bianca,
focalizza il luogo generalmente inteso a fungere da supporto per unopera;
laddove illumina un passaggio, una finestra o una cesura nellarchitettura
richiama lattenzione sui punti che definiscono un limite o un
intervallo nel continuum spaziale (tra interno e esterno, tra un locale
e laltro, tra pavimento e parete o tra parete o soffitto).
Il lavoro non è ovviamente la forma proiettata, bensì
il dispositivo della proiezione + latto della proiezione luminosa
+ lesperienza dello spettatore. Il proiettore che emana il fascio
di luce e latto deittico che enuncia al presente indicativo definiscono
la dimensione, o meglio il gesto della situazione espositiva: determinano
quel qui e ora dellatto espositivo in cui qualcosa è supposto
mostrarsi alla percezione di qualcuno. Quel qui e ora, anche, in cui
il reale interferisce nel gesto espositivo: uninterferenza momentanea,
casuale, empirica. Linterferenza di un corpo fisico nel fascio
di luce ratifica latto espositivo come tale: il piano architettonico,
il corpo dello spettatore diventano attori-testimoni, o meglio complici
dellaccadimento espositivo.
VARINI, New York, Up-down, 1997 + visione frammentata
Torniamo a guardare i lavori di Varini e cerchiamo di riprendere alcuni
concetti intravisti nelle opere appena ricordate.
Lopera che si sviluppa nello spazio, toccandolo in una pluralità
di punti per mezzo di tracce di colore, coinvolge qualsiasi superficie
o aggetto che casualmente viene a interferire nel disegno proiettato.
Il lavoro si manifesta a stretto contatto con larchitettura: è
lesito del confronto diretto di Varini con la situazione fisica
a disposizione. La visibilità dellenunciato presuppone
la sua messa in situazione, lesperienza dellopera esige
la fruizione mobile da parte dello spettatore.
Porza, Trapezio con diagonali, 1996 + frammentato
Linscrizione di un disegno lineare nello spazio viene a costituire
ogni volta uninedita situazione specificamente determinata dagli
attributi e dalle coordinate contingenti. Il sito suggerisce e definisce
il tipo, la forma per così dire, della visualizzazione dellenunciato:
suggerisce il punto dal quale proiettare la figura, la modalità
stessa dellinscrizione di un determinato disegno che può
essere il medesimo segno, ma che da una situazione allaltra produce
situazioni percettive totalmente diverse.
Se il sito condiziona il tipo di intervento, lintervento dal canto
suo influenza la percezione del luogo, dal momento che per farne esperienza
dobbiamo attraversarlo, trovandoci così a scoprirne certi dettagli,
a guardarlo da varie posizioni, a confrontarci con letture anche insolite,
marginali dellarchitettura.
Frammento piede Villeurbanne + frammento corridoio Suglio
Il lavoro in situ come lo ha definito Buren negli anni 70
in relazione a questa influenza reciproca tra il sito e lopera
è un lavoro al presente, che accade nel qui e ora della
sua situazione espositiva. La locuzione in situ non è peraltro
da confondere con il termine site specific: la solidarietà dellopera
con gli attributi del sito non significa che essa sia indissociabile
da quel preciso luogo, ma significa piuttosto che lopera, per
venire al mondo, necessita ogni volta di un sito in cui installarsi,
di un supporto a cui aderire, di un ambiente con cui entrare empiricamente
in contatto. Più che da un determinato luogo, la proposizione
in situ nasce attraverso la sua attualizzazione in una data cornice
spaziale: lopera in situ è unopera che ha per fondamento
levento stesso della sua presentazione. Lallestimento o
appunto la messa in situazione dellopera al fine della sua fruizione
ossia latto espositivo diventa la sua ragione dessere.
Un denominatore comune alle opere che abbiamo brevemente intravisto
dai volumi geometrici di Morris, ai "Particolari" di
Anselmo, ai lavori in situ di Buren, alle proiezioni di Verjux e alle
opere di Varini è precisamente questa attenzione alla
condizione espositiva e ai vari aspetti che levento espositivo
implica. Unattenzione che, di fatto, determina una qualità
fondamentale dellopera darte contemporanea: quel "mutamento
paradigmatico" cioè con cui lattenzione si sposta
dallopera al processo stesso del suo avere luogo, del suo farsi
al presente. Lattenzione si sposta dalloggetto e dal suo
intrinseco messaggio alle relazioni esterne che lo determinano: alla
relazione con il contenitore che lo accoglie, alla situazione che ne
consente la visibilità, allesperienza della sua fruizione.
Linteresse si sposta dalla focalizzazione centripeta delloggetto
alla considerazione centrifuga delle zone di contatto con ciò
che lo attornia: la parete, lo spazio tridimensionale, lambiente
architettonico, il contenitore istituzionale, ecc. Lopera diventa
una situazione di incontro (o anche di scontro) tra zone di diversa
consistenza e dimensione. Una volta infranta la cornice dellopera
che le assicurava la sua autonomia, essa si vede esposta allinfluenza
del reale: allarbitrarietà, alle imprevedibilità,
alle contraddizioni, in altre parole alla vita del reale. Lopera
allunga dei tentacoli nello spazio che la circonda e che le dà
un fondamento, lasciandosi al tempo stesso compenetrare dalla complessità
di tale interazione, tollerando che i propri confini diventino fluidi.
Ciò che ha da dire, questopera lo dice attraverso il legame
che costruisce in situ: attraverso il proprio manifestarsi nel luogo
e per la durata della sua esposizione. Al centro delle preoccupazioni
artistiche vi è quindi il momento stesso del divenire dellopera
come tale, il momento del suo contatto effimero con uno spazio e un
pubblico.
Con questo spostamento dellattenzione verso le relazioni esterne
dellopera con lambiente e con il contesto in cui ha luogo,
lesperienza percettiva e conoscitiva dello spettatore acquista
una valenza centrale. Lo spettatore è certamente da sempre il
destinatario dellopera la nota dichiarazione di Duchamp
"È lo spettatore che fa lopera" non è
stata la prima né lultima sebbene lucidissima e inequivocabile
conferma. Nellarte contemporanea la questione è però
approfondita e portata allestremo, fino allesplicita dichiarazione
di morte dellautore a favore della consacrazione dello spettatore,
indagata nei modi più diversi da vari artisti. È posta
in relazione allo spazio fisico e al tempo reale inerenti allesposizione
dellopera e allesperienza empirica del fruitore. I modi
percettivi e i processi di pensiero mediante i quali costruiamo i nostri
rapporti con il mondo assurgono a problematica centrale della sperimentazione
artistica. Lopera diventa una sorta di filtro tra il soggetto
e il mondo, o uno strumento mediante il quale lautore e lo spettatore
si incontrano in una medesima sperimentazione dei possibili rapporti
con le cose, lo spazio-tempo, il reale. Se lartista sonda, scandaglia,
misura lo spazio di intervento, la situazione del proprio agire e operare,
lo spettatore è invitato a fare esperienza del proprio ruolo
e a sperimentare, al pari dellartista, la situazione espositiva.
Da qui lo sviluppo di queste proposizioni imperniate sul farsi stesso
dellopera nel qui e ora dellesperienza immediata dello spettatore,
che dunque non è soltanto un complice indiretto, ma è
un co-autore direttamente partecipe del costituirsi dellopera.
Se per alcuni tra i quali Daniel Buren questo spostamento
dellattenzione è volto a una disamina in termini eminentemente
critici di quelle che lui stesso ha definito le "cornici"
dellopera darte (cornici politiche, storiche, ontologiche
quali la funzione del museo, del critico darte, della cornice
del quadro, dei supporti ecc.), per altri tra i quali Felice
Varini il punto centrale dellapproccio dialogico al reale
è linstaurazione di una relazione estetica con la realtà
materiale e oggettiva del luogo di intervento a prescindere da unattitudine
ideologico-critica.
Ermatingen, Ellipse pour deux colonnes, 1997 + frammentato
Ciascun lavoro di Varini nasce dallintroduzione nellassetto
spaziale dato di una dinamica formale che non mira né a scompaginarlo
né a contraddirlo, ma semmai a ribaltarlo su se stesso, a rivelarlo
a se stesso per quello che è. La sovrapposizione e linterazione
fra lidentità del luogo e lidentità formale
del lavoro non è subordinata ad alcuna gerarchia: il lavoro-pittura
non si impone per perturbare lordine precostituito, ma piuttosto
si dispone per compenetrarlo, sfidarlo ludicamente, lasciando traccia
della propria infiltrazione e lasciandosi a sua volta segnare da esso.
Le immagini che vi mostro in questa sede sono tutte illustrazioni del
lavoro in situazione: photo-souvenir come le ha definite Buren, gli
unici documenti di fatto dei lavori, dal momento che nella maggior parte
dei casi la loro durata è effimera. Documenti parziali e illusori,
ben inteso, privi di valore artistico: documenti nel vero senso del
termine in quanto attestano le possibilità di visualizzazione
dellopera. Documenti astratti al pari dei certificati, che statuiscono
lesistenza dellenunciato, senza pertanto costituirne lenunciazione,
la quale, come abbiamo detto, riguarda la messa in situazione dellopera.
Il lavoro che trae senso dalla sua messa in atto ha indotto gli artisti,
ma anche i critici, i collezionisti e le istituzioni a interrogarsi
e a ripensare lo statuto dellopera, le possibilità della
sua fruizione, della sua documentazione, della sua durata e riproposizione.
Come documentare lopera che prescinde dalla contemplazione monoculare
e fissa, la cui esperienza è fondata, al contrario, su una pluralità
dispersiva di istanti percettivi, sulla mutevolezza stessa della percezione?
Come archiviare lopera che materialmente esiste soltanto in forma
di intervento temporaneo in situ? Come vendere, come preservare, come
riproporre questo tipo di opera? Sono quesiti, questi, che hanno sollecitato
inedite soluzioni e modalità di documentazione, proprie appunto
di un determinato tipo di opera contemporanea. Il certificato, ad esempio,
che fissa le coordinate esatte della possibile attuazione dellopera,
o i titoli che descrivono con precisione il disegno e o il segno inscritto
nello spazio (come nel caso di altri artisti, ogni opera di Varini è
accompagnata da un certificato che ne stabilisce le condizioni della
sua materializzazione e ripetizione. Tra i titoli possiamo citare indicativamente
alcuni esempi: "Linea interrotta per corridoio", "Doppio
triangolo nero pieno, attraverso i due passaggi", "Rettangoli
gialli concentrici senza angoli al suolo" e via dicendo). Certificati,
titoli, spiegazioni tecniche, diagrammi e schemi relativi allinstallazione
costituiscono, dunque, tutta una serie di prodotti e di dispositivi
secondari che accompagnano lopera, inediti fino a pochi decenni
fa nellambito dello studio, della documentazione e della conservazione
delle opere darte.
Il lavoro in situ, che fa dellistante e del luogo espositivo la
propria ragione dessere, comporta anche questo tipo di discorso,
relativo allo statuto e allesistenza dellopera.
-----------------------------------------------------------
Varini allopera a Besso + Lugano-Besso, Scuole elementari,
Ellisse rossa piena, 1995
Quando inizialmente ci siamo chiesti cosa fosse un lavoro di Varini,
ci siamo interrogati anche riguardo allimpiego della pittura.
Varini ricorre alluso di configurazioni geometriche. I colori
utilizzati sono perlopiù quelli primari e il nero. Dobbiamo forse
dedurne un retaggio costruttivista-concreto, alloccasione elaborato
in versione spaziale?
Besso frammentato + Besso frammentato
Ma cè la scomposizione dellimmagine, la disorientante
sconnessione delle parti, la disarmonia dei dati percettivi, la distorsione
dellequilibrio sia ottico sia concettuale.
Besso frammentato + Besso frammentato
E poi cè linscrizione diretta nello spazio in cui
ci troviamo, in cui ci muoviamo; cè lessere dentro
la spazialità pittorica.
Per orientarci meglio, guardiamo ancora una volta in dietro. Consentitemi
di nuovo un paio di pro memoria, di rapidi sguardi su alcuni precedenti.
F. MORELLET, Superposition de parallèles 0°-90°,
1971 + MORELLET, Superposition dune surface exposable avec cette
même surface basculée à 5°, 1977
Dopo aver indagato, per un ventennio circa, la concezione e lalterazione
di sistemi dordine entro i limiti del quadro, François
Morellet estende la propria sperimentazione nello spazio architettonico.
Ricorrendo al nastro adesivo, sovrappone, ad esempio, una trama ortogonale
alla superficie irregolare di un supporto plastico. Oppure duplica,
sbilanciandoli, un elemento o una superficie architettonica preesistenti.
A contatto con il reale, lequilibrio della griglia ortogonale
subisce impreviste distorsioni create dallincontro effimero di
un sistema rigoroso con le irregolarità del supporto plastico
o ambientale. Uscendo dal quadro e inscrivendo la propria ricerca nello
spazio, Morellet indaga in situ le possibilità di destabilizzazione
di un sistema dordine prestabilito. La sua inscrizione di una
figura nello spazio tridimensionale è intesa a straniare le consuetudini
visive, a interrompere la stabilità scontata, a introdurre nellordine
una misura di disordine.
F. MORELLET, Chemnitzer Buerger-Eyd (von 1719), 1994 + MORELLET,
Transparence n. 1, 1989
In altri casi gli elementi impiegati vengono disposti nello spazio secondo
una sistematicità che trae origine da decisioni aleatorie. Nel
caso dei tubi al neon, ad esempio, lideazione delle configurazioni
formali dei tubi è determinata da un rigoroso sistema dordine,
combinato però con un criterio casuale di distribuzione degli
elementi al suolo e alle pareti.
Lordine della geometria viene scardinato dallintroduzione
ragionata del caso. Dal quadro geometrico si passa alla disgregazione
della geometria del quadro: il disegno si affranca dalla subordinazione
allunità in sé conclusa del quadro per entrare,
letteralmente, in contatto con lo spazio. Larchitettura diventa
supporto e al tempo stesso complice del disegno, lidea creativa
si disegna nello spazio, ne riprende e nel contempo ne perturba la percezione,
divertendosi a sbilanciare le simmetrie e a irridere la razionalità
astratta della composizione precostituita.
S. LEWITT, Three-part drawing: a six inch grid covering the walls,
1978 + S. LEWITT, Cubes with color ink washes superimposed, 1994
Dal 1968 lartista americano Sol LeWitt realizza dei "wall
drawings", disegni su muro, sostituendo il foglio da disegno con
il muro.
Intervenire nello spazio architettonico non vuol dire soltanto accettarne
le irregolarità ed esporre il concetto formale allarbitrarietà
della situazione reale, ma significa anche e soprattutto confrontarsi
con limpossibilità di calcolarne lefficacia ottica,
quindi la complessità percettiva. Il lavoro di LeWitt si fonda
sulla relazione tra lo sviluppo logico di un motivo bidimensionale predefinito
e lambiguità, che in certi casi sconfina addirittura nel
caos, della risultante visiva. Nella dimensione al vero la lettura univoca
del concetto di base si vede fortemente relativizzata dalla valenza
preminente delle interazioni cromatiche.
La percezione di questi lavori realizzati in situ trae senso propriamente
dalla variabilità e dallindividualità delle impressioni
che lo spettatore sperimenta deambulando nellambiente, dallinstabilità
della lettura percettiva. E del resto, lo stesso sviluppo del lavoro
nello spazio è fondato sulla permutazione, sulla ripetizione
diversa di un motivo formale costante: una linea, o una forma, un gruppo
o ununità gestaltica. Lunicità è perturbata
dalla molteplicità delle varianti. La sistematicità di
un insieme finito di elementi predefiniti è minata dalla mutevolezza
degli esiti ottici, esperibili soltanto, di volta in volta, attraverso
lesperienza in situazione.
N. TORONI, esp. personale al Coin du Miroir, Dijon, 1982 + TORONI,
esp. personale Galerie Lambert, Parigi, 1994
Dal 1967 la proposizione pittorica di Niele Toroni è determinata
dal medesimo metodo di lavoro: lapplicazione di un pennello n°
50 impregnato di pittura acrilica su un supporto generalmente bianco
a intervalli regolari di 30 cm. Il supporto può essere la classica
tela o il foglio bianco, oppure la parete, il pavimento, il soffitto
di uno spazio, qualsiasi piano architettonico.
Ogni intervento costituisce una nuova visualizzazione del metodo: è
la variabile, potenzialmente infinita, del principio costante. La visibilità
del lavoro, dunque, cambia di volta in volta, influenzata dalle caratteristiche
dello spazio o dellambiente di intervento.
Come nel caso di LeWitt, il metodo non dice nulla sullefficacia
visiva del lavoro-pittura che si fa da sé a contatto con lambiente,
attraverso la luminosità del colore. Il metodo non definisce
in alcun modo lestensione possibile del lavoro effettivo che può
essere contenuto entro una tela o riempire in parte o del tutto linvolucro
spaziale. Tanto meno precisa la scelta del colore, decisa secondo lumore
e le circostanze. Il metodo di lavoro definisce ma non dà a vedere;
descrive ma non costituisce il prodotto del lavoro. Lopera si
invera in quanto lavoro pittorico nellistante in cui il pennello
lascia unimpronta sul supporto: nellistante cioè
in cui si fa messa in opera, visualizzazione dellatto pittorico
propriamente detto. Il lavoro-pittura di Toroni non riproduce nessuna
forma, né rappresenta o esprime alcunché che non sia il
proprio prendere corpo come lavoro pittorico: come applicazione minima
di pittura su un supporto, come iscrizione metodica del gesto pittorico
nella realtà visibile, come attuazione del ritmo compositivo
più semplice che sia: lalternanza di dipinto e non dipinto,
figura e fondo, o anche lallineamento delluguale, lalternanza
del pieno e del vuoto. VARINI, Basilea, UBS Aeschenplatz, 1995
+ frammento
Torniamo a considerare la proposizione pittorica di Felice Varini.
Alla luce di questi rapidi flash back possiamo individuare perlomeno
tre o quattro aspetti centrali riguardo alla motivazione e alle possibilità
contemporanee di impiego della pittura nello spazio tridimensionale.
Anzitutto lintendimento della pittura come esperienza visiva,
anziché come formulazione di unimmagine o come mezzo di
comunicazione di un messaggio o come luogo della rappresentazione di
qualcosa. La pittura, qui, non è in-luogo-di qualcosa, ma è
intesa nel suo stesso avere luogo, nel suo materializzarsi nello spazio
fisico dellesperienza percettiva.
Un secondo aspetto è la dilatazione dellaccadimento pittorico
nello spazio, ossia il superamento dellepisodio circoscritto allimmagine
percepibile da un unico punto di vista. Il superamento, quindi, della
visione statica, frontale e monoculare, propria della dimensione del
quadro. Se parlo di diffusione della pittura nello spazio non alludo
semplicemente al noto passaggio moderno dal dipinto da cavalletto alla
pittura murale, ma intendo piuttosto leffrazione dellopera
pittorica nello spazio tridimensionale a favore di una percezione diffusa,
ambigua, correlata allesperienza mobile, alla deambulazione dello
spettatore nellarchitettura; a favore di una percezione priva
di riferimenti stabili, di un territorio gerarchicamente organizzato.
Limmagine pittorica si dà a vedere come sviluppo nello
spazio, come estensione di un ritmo: la disgregazione del punto di vista
fisso elude la certezza della figura univoca, che resta soltanto uno
dei possibili momenti dellavvenimento pittorico. La visione del
lavoro pittorico diventa lesperienza del suo stesso sviluppo,
del suo stesso svilupparsi da un punto allaltro dello spazio in
cui ha luogo. La figura netta e riconoscibile che a un dato momento
individuiamo nelle opere di Varini non è fine a se stessa; basta
un passo o un movimento e la perfetta geometria si scompone, limmagine
si disfa, rivelandosi per quello che è: uno fra gli innumerevoli
momenti in cui il lavoro pittorico si dà a vedere come tale.
La pittura, dunque, si manifesta anzitutto in quanto applicazione di
colore su una superficie, in quanto effetto di colore in uno spazio,
proiezione di una figura su un fondo, iscrizione di un disegno su un
piano spaziale. Si dà a vedere come accadimento immediato nello
spazio visibile di un principio formale, il quale, di per sé,
non ha alcuna importanza né valore un sistema di linee,
segni, tracciati nel caso di LeWitt e di Morellet, un segno o disegno
geometrico nel caso di Varini. Ciò a cui siamo invitati non è
la verifica né linterpretazione di quel concetto, segno
o sistema che sta a monte del lavoro e che resta un riferimento, una
sorta di codice genetico della proposizione, ma, al contrario, ciò
a cui siamo invitati è lesperienza dello scarto, della
ricchezza esperienziale che prende corpo non appena lidea astratta
entra in contatto con il reale. Non appena il metodo si fa lavoro; non
appena il lavoro diventa materiale ottico che vive entro i confini di
unarchitettura, di una situazione percorribile e fruibile.
Varini allopera Studio Dabbeni + frammento Studio Dabbeni
Le marcature pittoriche in un lavoro di Varini non sono altro che i
segni visivi che suggellano il contatto con il reale, latto di
appropriazione o di intervento nello spazio in cui le cose "succedono",
si fanno presenti alla percezione e allesperienza cognitiva.
E con ciò ci ritroviamo a constatare che la proposizione di Varini
(al pari delle altre cui abbiamo sommariamente alluso) trova nellistante
e nel luogo della propria esposizione del proprio ad-venire,
divenire realtà percepibile la ragione stessa del proprio
esistere.
Cosa è un lavoro di Varini? Quando è, dove inizia, dove
finisce?
La proposizione di Varini si inscrive nel campo dellarte contemporanea
come sperimentazione del rapporto con il reale, come esperienza della
possibilità effimera e mutevole dellincontro tra unidea
creativa e una realtà espositiva, tra la formulazione di un pensiero
e leventualità del suo manifestarsi alla percezione.
retour