"Castelgrande"
Roberta Mazzola
Se cè qualcosa di utile per caratterizzare le attuali relazioni
fra larte e la fotografia, questo qualcosa è la tensione,
non ancora scaricata, che si è stabilita fra esse attraverso
la fotografia delle opere darte (Walter Benjamin, Piccola storia
della fotografia).
Se ci avviciniamo allattività pittorica di Felice Varini
con lintenzione di descriverla nelle sue componenti fondamentali,
i concetti che ci sembrano più produttivi in particolare
quelli di punto di vista, di messa a fuoco e
di inquadratura - rivelano una stretta parentela con il
lessico della fotografia. Se partiamo dal dispositivo che Varini mette
in atto in ogni suo intervento artistico, le differenze fra pittura
e fotografia sono effettivamente ridotte al minimo. Incentrato sul problema
della falsità delle immagini in rapporto alla verità percettiva,
il lavoro dellartista si avvale della fotografia, arrivando ad
equipararla alla pittura nelle strategie di costituzione e di smascheramento
di iconicità. Per la sua origine, che la riporta alla machine
à dessiner e alla camera oscura, la fotografia è
strettamente legata agli strumenti del pittore e, dimostrando il funzionamento
della prospettiva come costrutto basato sullo sguardo fisso e sulla
visione monoculare, si presta a radicalizzare il tema della pittura
come illusione: nella finestra e nella fotografia il mondo inquadrato
sembra inscriversi e rappresentarsi in maniera immediata (1).
In Réversible , realizzato nel 1986 al Musée dart
Moderne de la Ville de Paris , la riproduzione fotografica si relaziona
a quella pittorica, visualizzando la porzione di spazio coperta da un
pannello che al tempo stesso è anche supporto dellimmagine
dipinta, ossia del disegno dellarchitettura nascosta. Come ha
scritto Johannes Meinhardt nel suo saggio dedicato allartista,
dalla fine degli anni Settanta ad oggi, il principio che sta
alla base, consiste nel contrapporre due modi percettivi o modi di lettura
fra loro incompatibili, provocati dalla disposizione nello spazio di
pitture o fotografie, e al tempo stesso nel dimostrare che ambedue i
modi non sono altro che effetti visivi diversi, dipendenti dal punto
di vista dello spettatore (2). Nello scarto fra la visione del
piano figurativo e lo spazio visto sempre solo parzialmente della lettura
minimalista rivolta alle marcature pittoriche degli elementi architettonici,
Varini affronta in tutta la sua problematicità i rapporti fra
realtà estetica e realtà percettiva, già al centro
degli interessi degli artisti del primo Rinascimento e, secondo un approccio
analitico e fenomenologico incentrato sulla percezione, particolarmente
sentiti nellarte contemporanea. In particolare, lesperienza
di uno sdoppiamento, generato dagli spostamenti dellosservatore,
fra un piano puramente visuale, estetico, e un piano materiale che non
si subordina più allimmagine, avvicina il dispositivo messo
in atto dallartista ad alcune strategie che si inscrivono nellambito
della pittura analitica influenzata dalla minimal art (3).
Un altro aspetto su cui si sofferma Meinhardt riguarda liscrizione
della forma pittorica mediante la luce. Varini si avvale della proiezione
luminosa di un disegno nello spazio, che viene ricalcata pittoricamente,
come una copia, una stampa di una diapositiva, provocando il rovesciamento
della proiezione illusionistica e affidando allo spazio il ruolo di
schermo, di luogo in cui viene offerta una visibilità.
Linvisibilità del supporto consente di avvicinare nuovamente
la fotografia al modello della pittoricità: anche la pellicola
fotografica è una superficie trasparente di questo tipo, benché
conservi oggettivamente le tracce delliscrizione energetica
(4). Adachiara Zevi ha scritto a questo proposito che lartista
agisce come un pittore nello spazio tridimensionale che viola lessenza
spaziale dellarchitettura, a cui la pittura è ancorata,
provocando un ribaltamento della logica prospettica attraverso la riduzione
dello spazio alla sua immagine bidimensionale. Ma,come in unanamorfosi
che si deforma e diviene irriconoscibile allallontanarsi dal punto
fisso di visione, così in unopera di Varini il minimo spostamento
dal fuoco rivela immagini frammentate, discontinue, aderenti allinvolucro,
rispettose della qualità dello spazio (5). In questo rovesciamento
della tridimensionalità nella bidimensionalità, lartista
rinuncia al comodo piano del quadro, per confrontarsi come il fotografo
con la ribelle ed eterogenea materia tridimensionale della realtà.
Inevitabilmente, la questione delle affinità fra
pittura e fotografia conduce a spostare lattenzione dai singoli
mezzi al modello generale di artisticità sotteso, per evidenziare,
come suggerisce Claudio Marra, una delle questioni chiave di tutto il
Novecento, che vede da un lato il quadro e dallaltra tutto
il resto (6). Non essendo più lunico modo
di riproduzione ha scritto Pierre Francastel a proposito delle
reciproche influenze - la pittura si è rivolta sempre più
allanalisi dei processi della percezione (7). Il ruolo
maieutico esercitato dalla fotografia viene toccato anche
da Meinhardt in relazione al deteriorarsi dellegemonia assoluta
della coscienza proiettiva: con la sua apparizione, la causalità
delliscrizione si è capovolta e il dominio dello
sguardo sullo spazio e sugli oggetti è stato messo in dubbio
(8).
Non va dimenticata la funzione che la fotografia assume per Varini quale
documento, certamente parziale e illusorio, ma in grado di rendersi
disponibile anche al di là dellevento espositivo. La collaborazione
con il fotografo permette allartista di far circolare attraverso
le pubblicazioni le immagini del proprio lavoro. Si tratta di photo-souvenir
, come direbbe Daniel Buren, che attestano il manifestarsi dellopera
in una precisa situazione e che, soprattutto nel caso di lavori effimeri,
possono essere avvicinate ad altre modalità di certificazione
che stabiliscono le coordinate per possibili attuazioni in altri contesti:
certificati, titoli, spiegazioni tecniche, diagrammi e schemi
relativi allinstallazione costituiscono scrive Maddalena
Disch - tutta una serie di prodotti e di dispositivi secondari che accompagnano
lopera, inediti fino a pochi decenni fa nellambito dello
studio, della documentazione e della consevazione delle opere darte.
Il lavoro in situ , che fa dellistante e del luogo espositivo
la propria ragione dessere, comporta anche questo tipo di discorso,
relativo allo statuto e allesistenza dellopera (9).
Per catturare i tre frammenti di cerchio che fluttuano liberamente nello
spazio costituito dalla veduta di Bellinzona e del suo intorno, losservatore
deve trovare fra i merli del Castello di Montebello il giusto punto
di vista verso Castelgrande (10 ). È il punto di vista da cui
lautore ha proiettato il suo disegno, il tracciato che losservatore
ha già avuto modo di conoscere attraverso le superfici di colore
rosso, accidentali e fra loro prive di coerenza, che per alcuni mesi,
per festeggiare liscrizione dei castelli e della murata nel patrimonio
dellUnesco, marcano in maniera significativa ma arbitraria la
città e i suoi edifici. Solo un attimo prima, limmagine
dei tre archi di cerchio appariva ancora scaglionata su diversi piani,
pronta a disperdersi nello spazio mutevole dei nostri spostamenti quotidiani;
solo da questa finestra immobilizzante la somiglianza di
colore dei frammenti, la continuità di direzione delle linee
e la buona forma del cerchio partecipano alla messa a fuoco
e muovono verso una soluzione necessaria, di schiacciante evidenza.
Lesperienza di una costellazione di superfici pittoriche, immotivate
nella collocazione e fra loro discordanti, che improvvisamente convergono
in un piano dellimmagine e in una figura geometricamente definita,
rimane centrale nellintervento intitolato Segni. Per Varini si
tratta di unulteriore possibilità di interrogare la visione
e con essa la pittura. Con Maurice Merleau-Ponty sappiamo che da
Lascaux ai nostri giorni, in qualsiasi civiltà nasca, di qualsiasi
credenza, di qualsiasi motivazione, di qualsiasi pensiero, di qualsiasi
cerimonia si circondi, pura o impura, figurativa o no, la pittura, anche
quando sembra destinata ad altri scopi, non celebra mai altro enigma
che quello della visibilità (11). Il dispositivo pittorico
che viene messo in scena conserva alcuni presupposti dellartificio
prospettico e prevede un osservatore esterno, immobile di fronte al
piano dellimmagine, ma al tempo stesso afferma anche la nostra
partecipazione al senso di ciò che si sta manifestando, attraverso
i movimenti nello spazio dato e in questa diversità di punti
di vista: sintetizzando direi un punto di vista centomila punti
di vista , spiega lartista intendendo il punto di vista
innanzitutto come strategico e pragmatico, come luogo delle condizioni
di visibilità di un angolo del mondo (12). In una prospettiva
fenomenologica, la percezione non è mero rispecchiamento delle
cose ma visione attiva, forgiante, che avviene processualmente, giacché
il mondo è fatto della medesima stoffa del corpo
e la visione è sospesa al movimento (13). Non si
tratta dunque soltanto di spazio dato (il contesto architettonico preesistente)
o di spazio rappresentato (attraverso lillusione iconica di un
piano figurativo perpendicolare rispetto allasse visivo
dello spettatore), ma della capacità stessa di esplorare la spazialità
come esperienza percettiva, nel qui e ora dellevento
espositivo, attraverso la partecipazione attiva dello spettatore (14).
Come lo spazio si rende visibile, per qualcuno, in un determinato contesto
e secondo un particolare punto di vista? Non mutano, nellultimo
lavoro di Felice Varini, le domande che dellopera privilegiano
il suo manifestarsi, il suo accadere e il suo presentarsi al pubblico.
La situazione con cui lartista si è confrontato è
però piuttosto insolita e per certi versi si tratta di un lavoro
al limite. Si tratta di una situazione inedita per le grandi
distanze e la varietà dei supporti da contrassegnare concretamente,
e ad essere messi alla prova sono innanzitutto le tecniche di proiezione
e di realizzazione dellimmagine costituita da bande monocromatiche
prestampate che aderiscono alle diverse superfici. È fondamentalmente
un lavoro al limite anche per la dimensione urbana implicata,
che porta a valorizzare la percezione dei singoli frammenti, la visione
parziale, nella dilatazione spaziale e nella discontinuità temporale
dellesperienza percettiva. Sicuramente anche per la natura dellimmagine
che il luogo ha suggerito allautore, poiché questa volta
essa non si salda più in una gestalt pittorica compiuta, in una
figura geometrica semplice e rigorosa come siamo abituati a vedere,
ma anche dal punto di vista privilegiato mantiene un carattere policentrico
e frammentario, che losservatore completa induttivamente. Il centro
dellimmagine è costituito da un vuoto geometrico e le interruzioni
della linea di contorno conferiscono ai tre cerchi una componente virtuale,
una connotazione di frammento che può far pensare a un rapporto
di somiglianza con la natura frammentata e policentrica della città
contemporanea. Va anche aggiunto che questo lavoro temporaneo e non
permanente è rivolto a un pubblico vasto ed eterogeneo, a cui
deve saper porre le giuste istruzioni e le giuste domande, mettendo
in circolo lo spazio dellabitudine, lo spazio dellevento,
della discontinuità, e lo spazio qualitativo del possibile. Il
tracciato che collega il castello a Piazza del Sole e alla strada, ma
anche ai suoi orizzonti costituiti dalle montagne e dal cielo, deve
fare i conti con alcuni pericoli, fra cui quello di sollecitare cornici
interpretative poco produttive o addirittura devianti.
Se il sito condiziona il tipo di intervento, lintervento
dal canto suo influenza la percezione del luogo (15). È
la percezione scontata dello spazio ad essere messa in gioco dalliscrizione
di segni pittorici nella città di tutti i giorni,
ma anche attraverso limmagine che si presenta allosservatore
quando prende di mira il suo oggetto da una prospettiva privilegiata.
I rapporti fra figura e sfondo non sono gerarchizzati una volta per
tutte e lo sguardo è tuttaltro che immobilizzato. Allimmagine
fluttuante e senza più legame con le cose, la veduta di Bellinzona
non cede volentieri il suo posto e ciò che rimane allosservatore
è anche una visione diversa della città e i suoi edifici.
Quei segni rossi fanno leggere un'altra immagine del castello, lo riducono
a disegno bidimensionale con i suoi vettori e le sue discontinuità,
con le sue luci e le sue ombre generatrici di spazialità. E basta
un automobile che dalla strada attraversa uno dei cerchi per muovere
lo sguardo verso un altro tipo di segmentazione. Nel contesto che lo
accoglie, nellincontro con lo spettatore e con il luogo, lintervento
pittorico intende valorizzare una dimensione propriamente estetica e
inscrive innanzitutto una progettualità intesa a non ridurre
immediatamente il mondo a figure stereotipe, a non trasformarlo in puro
lessico
cercando invece di farne percepire una dimensione del
sensibile, unaltra lettura, che contemporaneamente a una scena
abitata da oggetti figurativamente riconoscibili, faccia cogliere i
tratti minimali, percettivamente motivati, di questi stessi oggetti
(16). Il lavoro di Castelgrande è per molti versi avvicinabile
a una serie di esperienze artistiche di durata effimera, per le quali
la fotografia ha costituito una vera e propria condizione desistenza.
Abbiamo già parlato delle modalità di certificazione dei
lavori in situ. Più in generale possiamo ora far riferimento
a numerosi fenomeni artistici, legati a un evento o caratterizzati da
una situazione instabile nel tempo e nello spazio, che ci permettono
di sottolineare una vera e propria dipendenza dalla fotografia quale
mezzo per immortalare le opere, per riprenderle da punti di vista diversi,
spesso inaccessibili nella visione diretta, per accrescerne le possibilità
di fruizione e potenziarne la diffusione. In molti casi pensiamo
soprattutto alla land art e alla body art - ad essere esposti sono proprio
i documenti fotografici e la fotografia si avvale di una scintilla di
autenticità, di una sua aura che la rende attrattiva.
Le possibilità analitiche dellobiettivo ne fanno uno strumento
prezioso nelle strategie di descrizione selettiva, volte a catturare
in un unico frammento lo spirito vitale dellopera (17). Nella
sua Piccola storia della fotografia, Walter Benjamin la definisce una
vera e propria tecnica della riduzione che rende accessibili
le sculture o le architetture di grandi dimensioni: "leffetto
della riproduzione fotografica delle opere darte riveste per la
funzione dellarte unimportanza molto maggiore dellelaborazione
più o meno artistica di una fotografia" (18).
La fotografia - afferma Rudolf Arnheim scaturisce in modo
primario dallambiente in cui si trova tanto inestricabilmente
immersa : è la necessità assoluta del punto
di vista pragmatico, conferma Philippe Dubois, considerando latto
fotografico a partire dalla specificità dellimpronta luminosa
quale traccia che non corrisponde alla logica degli altri sistemi di
rappresentazione, come la pittura e il disegno (19). Con Charles Sanders
Peirce sappiamo che essa appartiene alla categoria degli indici più
che delle icone, poiché il suo modo dessere non è
soltanto uno stare per , una semplice relazione di somiglianza
atemporale, ma scaturisce da una relazione esistenziale con le cose:
le fotografie, specialmente le istantanee leggiamo nella
Grammatica speculativa sono per certi aspetti esattamente uguali
agli oggetti che esse rappresentano. Ma questa rassomiglianza è
dovuta al fatto che sono state prodotte in condizioni tali che esse
erano fisicamente costrette a corrispondere punto per punto alloggetto
in natura. Sotto questo aspetto, dunque, esse appartengono alla seconda
classe dei segni, quelli per connessione fisica (20 ). La fotografia
non può che attestare lesistenza di ciò che mostra
e si presta a funzionare da certificato di presenza, secondo
la nota definizione di Roland Barthes (21). In quanto indice
è al tempo stesso uno strumento per designare e in ciò
risiede la sua forza di espansione metonimica, la sua virtualità
irradiante (22).
Lidea di lasciare traccia dellintervento di Varini attraverso
le immagini realizzate da quattro fotografi - Pino Brioschi, Jordi Bernado,
André Morin e Pino Musi - mette in gioco lidentità
non pittorica della fotografia e al tempo stesso rilancia la difficile
sfida che la fotografia pone a se stessa nel relazionarsi con lopera
darte. Quella che ci propone lesposizione delle fotografie
è la possibilità di uninterpretazione critica del
lavoro, di una lettura che sappia far parlare lopera
in rapporto al suo manifestarsi nel contesto urbano e attraverso lattività
dello spettatore, nella continua interferenza di valori concreti,
perfino extraestetici (23). Legata per sua genesi allunicità
della situazione referenziale, la fotografia valorizza lo stretto legame
che lopera intrattiene con la contingenza e, nella sua parzialità,
corrisponde a un concetto di fruizione temporale dellopera. Nella
successione arbitraria delle immagini riflette la sperimentazione di
molteplici punti di vista, la discontinuità e contraddittorietà
delle esperienze percettive e cognitive. Si potrebbe così pensare
che attraverso la specificità del click fotografico la mostra
fa perno proprio sulle possibilità di contaminazione, sul carattere
di tensione al limite del possibile che lintervento
artistico di Castelgrande, proprio per questo suo estremo aprirsi al
contesto che lo accoglie, per la vastità dei suoi confini, produce
nel dispositivo attorno a cui ruota tutta lopera dellartista.
Pino Musi si accosta allintervento di Varini quale fotografo di
architetture. Rinunciando al colore, si avvale dei contrasti luminosi,
dei salti di scala e delle potenzialità vettoriali degli scorci
architettonici, accogliendo nel rettangolo fotografico il segno pittorico
come ulteriore elemento strutturante. Divenuto autonomo rispetto alla
figura che lo ha generato, esso si relaziona con tutti gli altri segni
che funzionano come linee di forza, interagendo con le ombre generate
dallarchitettura, solidarizzando con la sua logica geometrica
e divenendo uno strumento di scomposizione e ricomposizione della spazialità.
Spesso è un taglio netto o una superficie deformata che permette
di approfondire lindagine sulle modalità di ribaltamento
della tridimensionalità nella bidimensionalità e più
in generale sui processi di assimilazione fra lo spazio e la sua rappresentazione.
Da una distanza ravvicinata il frammento pittorico e il dettaglio architettonico
si fanno incombenti e maggiormente straniati, spingendo locchio
a soffermarsi sulle differenziazioni materiali del supporto, sulle variazioni
della sua texture. Il lavoro che Varini svolge in rapporto allarchitettura,
offre al fotografo la possibilità di esaltarne i valori di immagine,
secondo una ricerca della forma e dei connotati minimi dellespressività
che non nasconde preoccupazioni di ordine estetico.
Fotografo di numerosi artisti che lavorano a stretto contatto con larchitettura
e la città, André Morin ha già collaborato in diverse
occasioni con Felice Varini. Nelle sue fotografie il tracciato pittorico
occupa uno spazio minimo e tende a scomparire dietro le quinte costituite
dagli edifici, dai vicoli e dalle piazze di un villaggio che a stento
mantiene la sua identità specifica. Castelgrande con le sue marcature
arbitrarie appare sullo sfondo di una città stratificata e rende
insolite le vedute di Bellinzona. La distanza ottica rimane almeno in
apparenza quella della normale cartolina, ma losservatore esplora
le fotografie riconoscendo nei tratti rossi gli indizi dellartisticità,
nella loro lontananza dai luoghi della quotidianità, nella loro
insignificanza rispetto ai movimenti che li abitano. Dove stanno i luoghi
della fruizione? Con quale forza quei segni insensati attivano lo sguardo
verso lesperienza dellillusione iconica e muovono lo spettatore
verso la conoscenza del dispositivo nella sua imprescindibile dupplicità?
Qual è il rapporto fra lopera e il suo pubblico? Nell
hic et nunc dello scatto, nella capacità di catturare quel frammento
di secondo in cui si allunga il passo e di accogliere lirruzione
del caso, dellimprevisto, Morin ci mostra lintervento di
Varini nella sua dimensione più aperta e insieme più chiusa
allinterazione con il contesto urbano e le dinamiche della città
(24).
Pino Brioschi ci presenta una serie di immagini strettamente legate
al castello, avvalendosi della possibilità di adottare punti
di vista inusuali, muovendosi allinterno e allesterno, avvicinandosi
e allontanandosi, riprendendo il lavoro dallalto e dal basso,
in relazione allapprossimarsi e al distanziarsi dellobiettivo.
Raccorciando le distanze ci fa sentire, quasi andando oltre il visibile,
la durezza della roccia su cui si erge Castelgrande e insieme, come
nel caso di Musi, la capacità della pellicola colorata di aderire
allarchitettura. Brioschi lo vive come una nota di colore lontana
dalla vita di tutti i giorni, un momento di ricezione collettiva, nella
città che ben conosce e nella sua dimensione legata allevento
festoso che favorisce lincontro, la capacità di stare insieme,
come avveniva in passato, prima che larte venisse separata da
ogni altra funzione, prima che i centri storici perdessero la loro capacità
di essere il fulcro della socialità.
A ricordarci che Bellinzona è in Svizzera è la bandierina
della fotografia dei nanetti, che riconosciamo percorrendo le immagini
di Jordi Bernadò che ci conducono al Castello di Montebello.
Avvicinandoci al punto di vista stabilito da Varini per afferrare la
configurazione intitolata Segni , attraversiamo le strade vuote di un
sito che fatica a tenersi lontano dal gusto globalizzato di ogni periferia
urbana. Fotografo di paesaggi suburbani, Bernadò si concentra
sulle tipologie architettoniche che sopravvivono in una situazione di
sradicamento, ma soprattutto ci mostra le interazioni fra i segni
dalle insegne alla segnaletica stradale attraverso cui la città
racconta la sua storia. Il presente in cui si inscrive lopera
deve fare i conti con queste intersezioni e instabilità temporali
che appartengono alla realtà in cui lintervento ha luogo,
nonché con il tempo della fruizione, che si è adattato
al contesto urbano e presuppone uno spettatore motorizzato. Il disegno
delle durate, la processualità della fruizione, vengono restituiti
nella loro soggettività attraverso i movimenti del fotografo,
nella sequenza delle immagini che ci propongono focalizzazioni impreviste,
addirittura devianti, ricordandoci che ogni percorso visivo è
anche un percorso di senso. Lo sguardo del fotografo assume così
il ruolo di centro di orientamento dellattenzione, fondamentale
nella costruzione di un punto di vista spettatoriale che rivendica margini
di autonomia e partecipa con un suo découpage alle attribuzioni
di valori e pertinenze, attraverso configurazioni prevedibili e legittime
sviste (26). Ritagliando piccoli segmenti nel continuum
percettivo, Bernadò si avvicina alla meta, senza rinunciare al
lampo fulmineo dellironia sullo sguardo voyeuristico
che riduce il nostro rapporto con lo spazio a puro modo di vedere per
inquadrature. Nellimmagine che chiude la sequenza, il punto di
vista del fotografo diviene punto di vista sul punto di vista, ma il
luogo da cui si fa esperienza dellillusione iconica è già
occupato da ben due osservatori. Nellattrito che affiora nel mirino
attraverso questi ulteriori sdoppiamenti la fotografia collabora con
la pittura allo smascheramento della trappola visiva.
1 ) Johannes Meinhardt, La realtà dellillusione estetica.
Le trappole visive di Felice Varini, Lugano, Edizioni Studio
Dabbeni, 1999, p. 29. La definizione di machine à dessiner risale
alla Francia del XVII. A questo proposito, in riferimento agli antenati
della macchina fotografica, si legga: Heinrich Schwarz, Arte e fotografia,
Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
2) Johannes Meinhardt, op.cit., p.13.
3) Per un confronto fra lopera di Varini e quella di altri artisti
nellambito della pittura postminimalista europea, oltre al saggio
di Meinhardt è possibile leggere il testo della conferenza tenuta
da Maddalena Disch allAccademia di Architettura di Mendrisio il
27 novembre 1999: Maddalena Disch, Felice Varini, Temporale
, 50-51, 2000, pp.16-22.
4) Johannes Meinhardt, op.cit., p.109.
5) Adachiara Zevi, Felice Varini: artificio antiprospettico,
Larchitettura , 427, 1991, p.476.
6) Claudio Marra, Le idee della fotografia. La riflessione teorica dagli
anni Sessanta a oggi , Milano, Mondadori, 2001, p.185. Il libro presenta
unantologia di testi critici che permette di approfondire i rapporti
fra la fotografia e le altre arti visive.
7) Pierre Francastel, Lo spazio figurativo dal rinascimento al cubismo
, Torino, Einaudi, 1957, p.125.
8) Johannes Meinhardt, op.cit., p.113.
9) Maddalena Disch, op.cit., p.20.
10) Questa seconda parte, strettamente incentrata sul lavoro di Varini
a Castelgrande, riprende alcune considerazioni presentate in un mio
articolo recentemente apparso su Rivista tecnica e le sviluppa in funzione
dei rapporti fra lintervento e la mostra fotografica, che saranno
trattati più avanti. Roberta Mazzola, Segni. Un intervento
artistico a Castelgrande di Bellinzona, Rivista tecnica , 13,
2001, pp.94-100.
11) Maurice Merleau-Ponty, Locchio e lo spirito, Milano, SE, 1989,
p.23.
12) Felice Varini citato in Johannes Meinhardt, op.cit., p. 19.
13) Maurice Merleau-Ponty, op.cit. , p.19 e p.17.
14) Per quanto riguarda il contributo della fenomenologia nello studio
delle problematiche legate ai concetti di spazio e di punto di vista
: Sandra Cavicchioli (a cura di), Versus. Quaderni di studi semiotici
, 73/74 , 1996 (numero monografico intitolato La spazialità:
valori, strutture, testi ).
15) Maddalena Disch, op.cit., p. 18.
16) Sandra Cavicchioli, Spazialità e semiotica: percorsi
per una mappa, Versus, op.cit., p.33.
17) Sottolineando che la fotografia non sarebbe servita allarte
rinascimentale della composizione, Peter Galassi si sofferma sulle strategie
di descrizione analitica nella pittura e nella fotografia: Peter Galassi,
Prima della fotografia, Torino, Bollati Boringhieri, 1989.
18) Walter Benjamin, Breve storia della fotografia, in Lopera
darte nellepoca della sua riproducibilità tecnica,
Torino, Einaudi, 1966, p.73.
19) Rudolf Arnheim, Intuizione e intelletto, Milano, Feltrinelli, 1987,
p.140. Philippe Dubois, Latto fotografico, in Claudio Marra, op.cit.,
p.177.
20) Charles Sanders Peirce, Semiotica, Torino, Einaudi, 1980, p. 158.
A questo proposito si veda anche Rosalind Krauss, Teoria e storia della
fotografia, Milano, Mondadori, 1996.
21) Roland Barthes, La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980
22) Philippe Dubois, op.cit., in Claudio Marra, op.cit., p.322.
23) Valentina de Angelis, Arte e linguaggio nellera elettronica,
in Claudio Marra, op.cit., p.223.
24) Walter Benjamin, op.cit., p.62.
25) Il tema della svista prende spunto da un contributo
di Giulia Ceriani sulle focalizzazioni dello spettatore teatrale: Giulia
Ceriani, Vista, montaggio, svista: a proposito di ricezione teatrale,
Carte semiotiche , 4-5, 1988, pp. 292-295. Il testo appartiene a un
numero monografico che Carte semiotiche ha dedicato a un convegno sul
punto di vista organizzato dallAssociazione Italiana di Studi
Semiotici.
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